Settimana di Portofino di alcuni anni fa. Ricevo una chiamata di un marinaio straniero con la voce affranta. Ha scoperchiato la campana di un winch che costa, solo lui, come un buon impianto stereo, ed ha scoperto che gli ingranaggi sono letteralmente mangiati. Il tapino s’è inventato (ma non è solo tra il Clan degli Splendidi velisti a pensarla così) che “il winch gira meglio se è a secco di grasso”.
Risultato: ha fatto un danno di migliaia di euro su winch nuovi di zecca a due giorni dalla regata di esordio della barca. Per fortuna l’armatore olandese, giustamente, gli ha ritirato dal lauto, lautissimo, stipendio il costo della riparazione.
La barca era uno splendido Judel & Vroljik di quasi 70 piedi nuovo di zecca.
E l’armatore era uno di quelli alla Pasquale Landoldi, un serial-owner: difatti in Olanda di barche da regata ne aveva fatte costruire parecchie, quasi una serie e tutte rispondevano al nome di ‘Sottovoce’.
All’estero non ci amano particolarmente, ma da quando mondo è mondo ci sono tante barche straniere che amano invece portare un nome italiano.
Ai bei tempi dello IOR c’era anche un barcone da regata americano che si chiamava sempre ‘La forza del destino’, ovviamente un omaggio all’opera di Verdi.
Ho usato il tempo passato in quanto, tristemente, da poco questo armatore non è più con noi.
Oggi gli rendiamo omaggio con uno dei suoi “Sottovoce”, uno IOR, dalle linee elegantissime, pare un Frers, o forse mi sbaglio, con delle soluzioni sul piano di coperta innovative davvero per l’epoca come le rotaie del genoa incassate rispetto al filo coperta, e il “winchame” con la stessa soluzione.
Anche il trasto randa curvo è una chicca come la torretta girevole.
Come dire? La classe non è acqua!
D.F.