In una delle ultime regate a triangolo della Sardinia Cup del 1980 una delle tre barche della squadra italiana, precisamente lo “Yena”, ebbe a bordo un ospite decisamente inatteso: Sua Altezza reale, l’Aga Khan IV – Karim – principe degli Ismaeliti.
Un episodio increscioso (alle draglie si stava mangiando l’usuale panino come colazione di ‘fortuna’ quando nessuno si accorse che c’era del prosciutto entro il panino …. cosa quanto mai inappropriata … ed a ciò si rimediò subitaneamente mangiando il prosciutto tolto in fretta e furia al ‘malcapitato’ che rimase se non a bocca asciutta sicuramente col solo pane e la sola acqua in mano!) tuttavia non fu di alcun ostacolo al progetto che aveva in testa la lucidissima mente di Sergio Doni, armatore appunto di “Yena” e promotore dell’invito a bordo riservato al Principe.
Nel trasferimento di ritorno dello “Yena” da Porto Rotondo a Punta Ala appresi con la relativa confidenzialità del caso cosa stava bollendo in pentola. In pratica Doni aveva capito che per un solo armatore privato, benché benestante, l’escalation dei costi di una barca da regata aveva raggiunto limiti improponibili e quindi non restava che la via del ‘sindacato’, come si chiamava allora il pool di armatori che tipicamente animava una campagna di Coppa America. Detto e fatto, ben 10 soci tra tutti quelli dello Yacht Club Costa Smeralda aderirono al progetto sborsando 30 milioni ognuno delle vecchie lire che non era cosa da poco!
Il ‘consorzio’ univa Rotelli, già armatore di quello che allora appariva un maxi, un 20 metri scarso firmato da Carlo Sciarelli, il ‘Cork’; lo stesso Aga Khan; Sergio Doni ovviamente ed il suo fraterno amico nonché concittadino, il Professore chirurgo ortopedico di fama, Bruno Calandriello; Willi Illbruck (il Landolfi tedesco per via della lunga serie di barche da regata armate, tutte chiamate ‘Pinta’); Fiorucci (non quello omonimo dei vestiti, Elio, ma quello dei salumi, la cui figlia ebbe per tanto tempo un bellissimo Hinckley mentre il padre veleggiava con una delle più maestose e belle barche retrò mai fatte in Mediterraneo, il ‘Suhail’, costruita dal mastro d’ascia fiumicinense Pino d’Este degli omonimo cantieri tutt’ora esistenti).
Poi c’era un altro toscano, certo Dodi Lenzi, già armatore di un Farr; Baiocchi, un signore del Nord Est, giovane allora, non armatore di barche a vela, ma super entusiasta; poi c’era Carapelli (non quello dell’olio) del varesotto, che aveva la sola mania di vedermi sempre con la maglietta ufficiale della barca ed altri due che sinceramente sfuggono alla mia memoria!
La barca doveva essere affidata al progettista che allora era il numero 1 nel racing e cioè ovviamente a Peterson e l’avrebbe costruita Bill Green, capace velista americano finito alla corte di quel ‘mastro’ britannico del composito (allora allo statu nascenti) che rispondeva al nome di Jeremy Rogers: inutile dire che doveva esser realizzata al famoso stato dell’arte!
E fu così. Tanto per dire, in aprile del 1981, al varo la barca vedeva candelieri e pulpiti in titanio; bozzelleria americana APM (American Precision Marine), la stessa usata nei Coppa America; winch primari Lewmar top cleat detti mini-grinder in quanto erano a 3 velocità e prima diretta! E con degli interni minimalistici, ma superbi, rifiniti con una cura che si sarebbe potuta trovare in casa Baltic o Swan!
Sottocoperta, tanto per dire, c’era una panchina in legno che nascondeva il frigo (ovvio senza compressore) utile quando ti dovevi cambiar di cerata ed era una chicca!
La barca ebbe 2 ‘gemelle’: una per Alan Bond, il magnate australiano, famoso per aver portato a casa la Coppa America con ‘Australia II”, chiamata ‘Apollo V’, ed un’altra, ‘Caiman’, per l’allora presidente della Philips, forse intitolata allo Yacht Club delle isole Caiman a cui la barca era iscritta…
Le linee di Peterson per le tre sistership erano insolitamente belle con bordi liberi piuttosto bassi e slanci di prua e di poppa ben pronunciati. Peccato però che a cotanta bellezza non corrispondesse altrettanta velocità!
Le barche erano sbagliate, troppo tenere alla tela, e come succede spesso, pur rimaneggiate (Smeralda cambiò la chiglia ma in due anni di attività non si selezionò né per la Sardinia né per l’Admiral a dispetto dei budget e degli equipaggi stellari, Gary Weisman in testa, al timone, per dirne uno solo).
Solo la presenza di John Bertrand, l’australiano non l’americano, per il mondiale Two Tonner del 1982 permise di raggiungere un onorevole secondo posto perdendo il primo gli ultimi cento metri dell’ultima regata!
Da lì iniziò il rapidissimo declino di Peterson che nel giro di pochi anni non firmò più una sola barca da regata, tanto per dire com’è durissima la carriera di un architetto navale!
Fu come canto del cigno risollevato solo dalla Coppa America di anni passati.
Smeralda ebbe anche un triste destino: fu posta sotto sequestro a Cowes in quanto il proprietario di allora (che l’aveva acquisita dallo Y.C.C.S. che se ne liberò in quanto il programma suo di Coppa America con ‘Azzurra’ aveva tolto ogni interesse su quella ‘piccola’ barca), credo un portoghese, non saldò i debiti col locale cantiere.
In alcune di queste foto, notiamo un autopilota alla ruota del timone, cosa ovviamente recente, ma il design e la verniciatura, pur sbiaditi, sono quelli originali del tempo che fu!
Una nota tecnica: la scotta della randa fatta a W rovescia, tipico circuito in auge allo IOR, che ha molti vantaggi e sorprende che tutti l’abbiano dimenticato.